Editore: Ugo Guanda Editore
Anno di pubblicazione: 2020
Mia Edizione: I edizione 2020
Genere: autobiografia, storico, saggio, memoriale
Pagine: 285
Formato: brossura con alette
Valutazione: 5/5
Indice
Trama (dal libro)
Esther Safran Foer è cresciuta in una casa in cui il passato faceva troppa paura per poterne parlare. Figlia di genitori immigrati negli Stati Uniti dopo essere sopravvissuti allo sterminio delle rispettive famiglie, per Esther l'Olocausto è sempre stato un'ombra pronta a oscurare la vita di tutti i giorni, una presenza quasi concreta, ma a cui era vietato dare un nome. Anche da adulta, pur essendo riuscita a trovare soddisfazione nel lavoro, a sposarsi e a crescere tre figli, ha sempre sentito il bisogno di colmare il vuoto delle memorie famigliari. Fino al giorno in cui sua madre si è lasciata sfuggire una rivelazione sconvolgente. Esther ha deciso allora di partire alla ricerca dei luoghi in cui aveva vissuto e si era nascosto suo padre durante la guerra, e delle tracce di una sorella di cui aveva sempre ignorato l'esistenza. A guidarla, solo una vecchia foto in bianco e nero e una mappa disegnata a mano. Quello che scoprirà durante il suo viaggio in Ucraina - lo stesso percorso che Jonathan Safran Foer ha immaginato per il protagonista del suo romanzo, "Ogni cosa è illuminata" - non solo aprirà nuove porte sul passato, ma le concederà, finalmente, la possibilità di ritrovare se stessa e le sue radici.
Chi è Esther Safran Foer? (dal libro)
Esther Safran Foer è stata per anni a capo del centro di cultura ebraica e Sixth & I. Vive a Washington con il marito Bert e insieme hanno tre figli - Franklin, Jonathan e Joshua - e sei nipoti.
Introduzione
La prima cosa che mi ha colpita di questo libro è stato il nome dell'autrice. O meglio, il suo cognome. Mi ricordava qualcosa. E infatti, come ho scoperto poco dopo, si tratta della madre di Jonathan Safran Foer, autore di "Ogni cosa è illuminata", che ho letto tantissimi anni fa. E che è strettamente legato al libro di cui sto per parlarvi.
Recensione
La storia: prima parte
"Voglio sappiate che ci siamo ancora" è il resoconto di una ricerca durata una vita. In quanto figlia di sopravvissuti all'Olocausto, Esther Safran Foer ha convissuto da sempre con il fantasma di ciò che è accaduto alla sua famiglia. Una presenza ingombrante, fatta di silenzi e dolori mai svaniti.
Da questo punto di vista, ho notato numerose somiglianze con "Sono figlia dell'Olocausto" di Bernice Eisenstein. Anche lei è figlia di ebrei scampati allo sterminio, successivamente emigrati nel continente americano. E tutte e due sono cresciute circondate dall'oscurità che quei terribili eventi proiettavano sui rispettivi genitori.
Tuttavia, fra i due memoriali vi sono delle differenze sostanziali. Specialmente nella struttura del racconto. In "Voglio sappiate che ci siamo ancora" i fatti sono riportati cronologicamente, ed esposti in modo lineare. Tant'è che il libro può essere facilmente suddiviso in due parti.
Nella prima, l'autrice offre una panoramica generale della sua vita. In particolare, parla delle vicissitudini della madre e del padre, della sua infanzia, del rapporto con il marito e i figli, mischiando ricordi personali a cose che le sono state raccontate.
Molto utili (e apprezzate) sono state le foto inserite qui e là nel volume. La maggior parte di queste proviene dall'archivio personale della scrittrice. E aiutano notevolmente a dare un volto a nomi non sempre facili da ricordare.
Infatti, questa è stata la maggiore difficoltà che ho incontrato: tenere a mente, e collegare tra loro, le persone citate. Ci tengo a specificare che il mio problema non era dovuto a lacune nella narrazione, anzi. Semplicemente, sono nomi con cui non ho famigliarità. Ed essendocene veramente tanti, ho rischiato più volte di perdermi.
Per fortuna, l'autrice tende in alcuni punti ad anticipare ciò che accade nei momenti successivi. Questa ripetizione, oltre a non appesantire il racconto, mi ha permesso di recuperare informazioni che mi erano sfuggite, o che non avevo capito bene.
La storia: seconda parte
Nella seconda parte, la storia entra nel vivo della questione. Ed emerge chiaramente il collegamento con il romanzo del figlio. E' stato proprio Jonathan, con la sua opera di fantasia stranamente fedele alla realtà, a convincere l'autrice a intraprendere la ricerca oggetto del libro. E a riempire finalmente quel vuoto lasciato dai famigliari che non ha mai conosciuto.
In questo senso, il titolo del saggio è quanto mai azzeccato: "Voglio sappiate che ci siamo ancora" racchiude in sé l'obiettivo non solo di una donna, ma di un popolo intero: conservare il ricordo di chi non c'è più, e non farlo sparire nelle pieghe del tempo.
Partendo dalla propria famiglia, Esther Safran Foer compie un viaggio nella memoria collettiva di una comunità che ancora oggi è viva e vitale, alla faccia di chi cercò di cancellarla dalla storia del mondo.
Partii alla ricerca di uno shetl che, a detta di tutti, non esisteva più. Ma volevo saperne di più su mio padre. Su mia sorella. Così i miei antenati avrebbero avuto la certezza che non li avevo dimenticati. Che ci siamo ancora.
Questo libro, come buona parte di quelli che trattano dell'Olocausto, racconta una storia di dolore e di perdita. Ma anche di coraggio, di riscatto, di amore, di affetto e di rispetto. La storia di una famiglia unita da solidi legami e proiettata nel futuro; ma le cui radici sono saldamente ancorate ad un passato che merita di essere ricordato.
Solo di recente ho cominciato a capire che trovare questi legami è la mia missione, e solo negli ultimi anni [...] ho cominciato a sul serio a riannodare i vincoli famigliari.
Stile di scrittura
Così come per "Sono figlia dell'Olocausto", la lettura di questo saggio scorre molto velocemente. L'autrice narra i fatti in prima persona, e questo ovviamente garantisce un livello di coinvolgimento altissimo.
L'impaginazione, poi, mi piace tantissimo. Le parole sono scritte con un carattere largo, che non affatica gli occhi; e le frasi sono sufficientemente distanziate, rendendo il tutto molto piacevole.
Fidatevi: può sembrare una cosa scontata, ma non lo è per niente. Non potete neanche immaginare quanti libri mi siano risultati antipatici a causa di un'impaginazione poco funzionale.
Conclusioni
Il mio consiglio spassionato è, ovviamente, di leggere questo saggio così significativo. Ma vi invito anche a recuperare gli altri due libri che ho citato nella recensione:
-"Ogni cosa è illuminata" (Jonathan Safran Foer): pur non essendo indispensabile per la lettura di "Voglio sappiate che ci siamo ancora", aiuta comunque ad avere un quadro più completo.
-"Sono figlia dell'Olocausto" (Bernice Eisenstein): un po' come Esther Safran Foer, anche Bernice Eisenstein tenta, attraverso il suo libro, di riempire i vuoti nel suo rapporto con i genitori, e nello specifico con il padre.
Fonti
Foto autrice: https://www.babelio.com/auteur/Esther-Safran-Foer/600023
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