Autore: Dita Kraus
Primo editore: Ebury Press (Penguin Random House)
Anno di pubblicazione: 2020
Mia edizione: 1°edizione gennaio 2021, Newton Compton Editori
ISBN: 978-88-227-3916-2
Genere: autobiografia
Valutazione: 5/5
Chi è Dita Kraus?
Edith (Dita) Kraus nasce a Praga nel 1929. E' una sopravvissuta all’Olocausto, nonchè la vera bibliotecaria di Auschwitz. Dopo la morte del marito Otto Kraus, autore di Il maestro di Auschwitz, avvenuta nel 2000, ha continuato la sua importante opera di diffusione della verità. Vive in Israele
Trama
Edith "Dita" Kraus (all'anagrafe Edith Polachovà) ha solo 13 anni quando viene deportata con i suoi genitori nel Campo per famiglie di Auschwitz. Qui le viene assegnato il compito di prendersi cura di una biblioteca un po' particolare, composta da pochi libri ritrovati per caso tra i bagagli dei prigionieri. Il suo incarico è molto pericoloso, dato che se venisse scoperta, le SS la punirebbero duramente. In questa strana "oasi" rappresentata dal famigerato Blocco 31, in mezzo alla desolazione del campo di sterminio più tristemente noto al mondo, Dita Kraus costituisce un'importantissimo simbolo di resistenza contro l'orrore dell'Olocausto. La sua storia, che era già stata raccontata da Antonio Iturbe nel romanzo "La biblioteca più piccola del mondo", ci viene ora narrata attraverso la vera voce della protagonista.
Recensione
Fin da quando a scuola mi parlarono della Shoà, sono sempre stata affascinata da questo argomento. Personalmente preferisco leggere le reali testimonianze dei sopravvissuti, piuttosto che i romanzi di fantasia. Questo perchè il tema dell'Olocausto mi coinvolge molto e perciò, quando mi capita di imbattermi in racconti inventati basati su questo argomento, mi sembra quasi di "tradire" chi quelle cose le ha vissute davvero.
La vicenda di Dita in realtà non mi era del tutto nuova. In precedenza avevo letto il libro "Il maestro di Auschwitz", scritto dal marito Otto B. Kraus. Da questa storia sono venuta a sapere dell'esistenza del Blocco 31 del Campo per famiglie, dove venivano lasciati i bambini mentre i genitori erano impiegati nei lavori forzati.
Si tratta forse di uno dei peggiori inganni perpetrati dai nazisti. Il Campo per famiglie era destinato ad accogliere i deportati da Terezin, che avrebbero alloggiato lì per circa 6 mesi. Lo scopo era quello di imbrogliare la Croce Rossa, facendo credere che la vita nei lager non fosse terribile come in realtà era. Ed è proprio nel Blocco 31 che la vita di Otto Kraus e della moglie Dita si intrecciano: lei viene incaricata di occuparsi di una piccolissima biblioteca, composta da libri che alcuni deportati erano riusciti a recuperare dai bagagli abbandonati all'arrivo del treno; lui è uno degli educatori clandestini, che cercano di creare una bolla di normalità in mezzo alla devastazione del lager nazista.
Dita racconta la sua storia con parole semplici, senza fronzoli, andando dritta al punto. Ogni capitolo del romanzo permette al lettore di immergersi in una parte specifica della sua vita: la famiglia, le amiche, le cotte giovanili, l'esperienza della guerra, la vita in Israele. Quest'ultima poi è la parte che più mi è piaciuta. L'autrice racconta in modo molto approfondito l'emigrazione in Palestina, la fatica sopportata per ambientarsi nel kibbutz di Givat Chaim e la sua vita dopo averlo lasciato.
Già prima di leggere questo libro sapevo che a quei tempi la decisione di trasferirsi in Terra Santa era molto comune, però non ho mai avuto occasione di studiare per bene l'argomento. Grazie a questo romanzo, invece, mi è stato possibile capire almeno in parte l'ideale di collettività che stava alla base dei kibbutz e il loro funzionamento. Ovviamente, si tratta pur sempre dell'esperienza personale di Dita, quindi le informazioni riportate ne sono sicuramente influenzate. Nonostante ciò, ho imparato delle cose nuove, e ho approfondito un'aspetto della storia degli ebrei della Seconda Guerra Mondiale che non avevo mai affrontato seriamente prima.
Un altra cosa che mi è piaciuta molto è il legame di amore e rispetto che unisce i romanzi di Dita e Otto. Non è possibile infatti parlare di uno senza menzionare anche l'altro. Lei e il marito hanno vissuto la stessa esperienza ad Auschwitz, e i due libri si completano a vicenda. Otto racconta, seppur attraverso il suo alter ego Alex Ehren, la vita nel Blocco 31, e il coraggio di tutti gli educatori nel cercare di alleviare la sofferenza dei più piccoli, ma non ciò che è successo dopo. Dita invece parla molto di più della loro vita insieme, di come si sono sostenuti a vicenda durante i periodi più brutti del loro matrimonio, piuttosto che dell'esperienza vera e propria del Campo per famiglie e del suo "lavoro" di bibliotecaria.
Vi consiglio caldamente di leggerli entrambi: sono storie commoventi (soprattutto quella di Dita), ma in grado di lasciare nel cuore di chi legge un bellissimo invito a non smarrire mai la speranza, anche nei momenti più bui, in cui tutto sembra perduto per sempre.
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