Editore: Feltrinelli
Anno di pubblicazione: 2007
Mia Edizione: I edizione "I Narratori" febbraio 2008
Genere: saggio, autobiografia
Pagine: 243
Formato: brossura con alette
Valutazione: 4/5
Indice
Trama
Diario di scuola affronta il grande tema della scuola dal punto di vista degli alunni. In verità dicendo ‟alunni” si dice qualcosa di troppo vago: qui è in gioco il punto di vista degli ‟sfaticati”, dei ‟fannulloni”, degli ‟scavezzacollo”, dei ‟cattivi soggetti”, insomma di quelli che vanno male a scuola. Pennac, ex somaro lui stesso, studia questa figura popolare e ampiamente diffusa dandogli nobiltà, restituendogli anche il peso d’angoscia e di dolore che gli appartiene. Il libro mescola ricordi autobiografici e riflessioni sulla pedagogia, sulle universali disfunzioni dell’istituto scolastico, sul ruolo dei genitori e della famiglia, sulla devastazione introdotta dal giovanilismo, sul ruolo della televisione e di tutte le declinazioni dei media contemporanei. E da questo rovistare nel ‟mal di scuola” che attraversa con vitalissima continuità i vagabondaggi narrativi di Pennac vediamo anche spuntare una non mai sedata sete di sapere e d’imparare che contrariamente ai più triti luoghi comuni, anima – secondo Pennac – i giovani di oggi come quelli di ieri. Con la solita verve, l’autore della saga dei Malaussène movimenta riflessioni e affondi teorici con episodi buffi o toccanti, e colloca la nozione di amore, così ferocemente avversata, al centro della relazione pedagogica.
Chi è Daniel Pennac?
Daniel Pennac, nato a Casablanca nel 1944, già insegnante di lettere in un liceo parigino, dopo un'infanzia vissuta in giro per il mondo, tra l'Africa, l'Europa e l'Asia, si è definitivamente stabilito a Parigi. Quando comincia a scrivere scopre una particolare propensione per storie comiche, surreali ma ben radicate nelle contraddizioni del nostro tempo. Ha raggiunto il successo dopo i quarant'anni con la serie di Belleville, i romanzi editi in Italia da Feltrinelli tra il 1991 e il 1995, incentrati sul personaggio di Benjamin Malaussène, di professione capro espiatorio, e relativa famiglia. Recentemente, è uscito l'ultimo libro della serie: "Il caso Malaussène. Mi hanno mentito" (2017). Claudio Bisio ha portato in scena con grande successo la pièce che Pennac ha tratto dalla sua saga Signor Malaussène, prodotta dal Teatro dell'Archivolto con la regia di Giorgio Gallione. Sempre per Feltrinelli sono usciti: il saggio sulla lettura "Come un romanzo" (1993), il romanzo "Signori bambini" (1998), la storia a fumetti "Gli esuberati" (2000, con disegni di Jacques Tardi), il romanzo "Ecco la storia" (2003), il monologo "Grazie" (2004), la rielaborazione "L’avventura teatrale. Le mie italiane" (2007), il racconto "La lunga notte del dottor Galvan" (2005), "Diario di scuola" (2008; Audiolibri "Emons-Feltrinelli", 2011) e "Storia di un corpo" (2012; nuova edizione accresciuta, con illustrazioni di Manu Larcenet: 2014), nella collana Feltrinelli "Kids", "Ernest e Celestine" (2013; nuova edizione con le illustrazioni di Benjamin Renner: 2019) e, nella collana "Feltrinelli Comics", "Un amore esemplare" (2018; con Florence Cestac). Nel 2018 ha pubblicato "Mio fratello", nel 2020 "La legge del sognatore". Altri suoi racconti sono comparsi nella collana digitale Zoom. Pennac ha vinto il Premio internazionale Grinzane Cavour “Una vita per la letteratura” nel 2002, il Premio Chiara alla carriera nel 2015 ed è stato insignito nel 2005 della Legion d’onore per le arti e la letteratura.
Recensione
Il tema
Prima di iniziare questa recensione, mi sembra doveroso avvisarvi di una cosa. "Diario di scuola" non è un libro facilissimo. Anzi, devo dire che mi ci è voluto un bel po' per riuscire a cogliere la chiave di lettura.
Si tratta di un saggio che aggiunge alle caratteristiche tipiche del genere una forte componente autobiografica. Pennac, infatti, prende spunto dalle sue esperienze personali per analizzare minuziosamente quel microcosmo a sè stante che è la scuola.
L'autore si concentra, quindi, su temi quali il rapporto professori/genitori/studenti, le relazioni famigliari, le lezioni, le materie studiate, i metodi didattici, fino al terribile fenomeno delle bande giovanili e della violenza.
Ma ciò che rende questo testo incredibilmente valido è la prospettiva attraverso cui Pennac parla ai suoi lettori. Da un lato, attinge a piene mani ai suoi ricordi di studente somaro; dall'altro, si immedesima nel ruolo di insegnante, professione che ha effettivamente svolto per una trentina d'anni.
Altro aspetto interessante è che l'autore cerca di essere più imparziale possibile nella narrazione. Il suo scopo non è alimentare il classico conflitto professore/studente, tipico di molti altri romanzi. Al contrario, vuole far riflettere i suoi lettori, mettendoli nella condizione di immedesimarsi in entrambi gli "abitanti" del mondo scolastico.
Proprio per questo motivo, mi sembra giusto spendere una parola per entrambi.
Il punto di vista dello studente....
Pennac non lo nasconde: il suo percorso da studente è stato a dir poco disastroso. Ed è proprio concentrandosi sulla sua esperienza che cerca di dare un senso a ciò che è stato.
Il suo oggetto di studio, quindi, è l'allievo che non brilla, la pecora nera della classe, l'incubo dei professori.
Nonostante la notevole dose di sana ironia che caratterizza tutto il racconto, e che regala al saggio una certa vena comica, l'autore riesce comunque a portare alla luce temi interessanti. Non sempre, infatti, chi riceve brutti voti è il "cattivo" della situazione. Non sempre non gli importa niente.
L'autore descrive infatti in modo magistrale i sentimenti di dolore e la negatività che accompagna un percorso scolastico insufficiente, che inevitabilmente si riflette anche sulla vita famigliare.
Molto spesso il mondo di uno studente somaro è un concentrato esplosivo di bugie, sensazione di incompetenza e paura di non farcela. Il tutto condito dall'angoscia di dover fare i conti con la propria situazione ogni singolo giorno.
Ma l'autore non si limita a questo. Anzi, mette di fronte ai suoi lettori le contraddizioni e gli stereotipi che affondano le radici nel sistema scolastico. Dimostrando che non sempre "somaro = svogliato". E che alle volte basta veramente poco per far ritornare la fiducia in sè stesso ad uno studente in difficoltà.
...e quello del professore
Diventando insegnante, Pennac si è ritrovato letteralmente dall'altra parte della barricata. Infatti, questa parte del saggio si basa sulla sua esperienza lavorativa nelle scuole di periferia. Un contesto sociale difficile, che Pennac descrive con notevole leggerezza e con la sua immancabile ironia. Vi confesso che, nonostante non sia un testo nato per far ridere, in alcuni punti mi è scappato un leggero sorriso.
In generale, però, l'autore cerca di mantenersi sempre super partes. Anche se non si fa problemi ad esprimere chiaramente la sua opinione su questo o quel tema. Ciò emerge sopratutto nel finale, quando Pennac osserva come è cambiato il mondo scolastico rispetto a quello che conosceva.
L'autore indossa quindi in pieno i panni dell'insegnante, raccontandone le gioie e i dolori. Come la difficoltà di trasmettere il suo sapere a una classe di studenti; la frustrazione provata quando qualche pecorella inevitabilmente si smarrisce, e non può più essere recuperata. Ma anche la gioia di rivedere i suoi ex studenti anni dopo, felici, realizzati e soddisfatti della loro vita.
Il testo, in questo senso, nasconde un messaggio tra le righe, rivolto a tutti i professori: non dimenticare mai da dove si è partiti. Ogni insegnante, prima di essere tale, è stato un allievo. E' fondamentale ricordarlo per donare alle generazioni successive tutti gli strumenti necessari per affrontare il mondo che li circonda. Perché, come dice Pennac:
Ho sempre pensato che la scuola fosse fatta prima di tutto dagli insegnanti. In fondo, chi mi ha salvato dalla scuola se non tre o quattro insegnanti?
Stile di scrittura
Lo stile adottato da Pennac è piuttosto... complesso. Diversamente da altri saggi che ho letto, qui l'autore svela i suoi pensieri rivolgendosi direttamente ai lettori, optando quindi per una narrazione in prima persona. Altra particolarità riguarda i paragrafi in cui è suddiviso il libro, generalmente molto brevi (addirittura alcuni sono composti solo da poche righe). Tutto questo aiuta sicuramente a mantenere alta l'attenzione e a rendere più incalzante la lettura.
Per non parlare poi della straordinaria capacità di Pennac di scivolare letteralmente da un argomento all'altro. Leggendo attentamente ci si rende che l'autore non separa nettamente i temi che tratta. Al contrario, il cambio di soggetto è spesso realizzato tramite parole, frasi o modi di dire apparentemente insignificanti.
Il "problema" di questo saggio, nonché il motivo per cui gli ho dato solo 4 stelle, è il registro linguistico. Pennac preferisce un linguaggio più figurato che letterale, dai toni quasi aulici. Perciò non è facile capire immediatamente dove vuole andare a parare. Inoltre, tende a perdersi in lunghe riflessioni che rendono la lettura poco scorrevole e pesante in alcuni punti.
Conclusioni
Proprio a causa di questi "difetti" il libro non è riuscito a coinvolgermi come speravo. Sinceramente, sono rimasta delusa. Ho fatto un bel po' di fatica a finirlo, e sento che più di qualche volta ho perso il filo del discorso. E questo mi dispiace.
Tuttavia, posso assicurarvi che "Diario di scuola" è comunque un ottimo testo. Nonostante tutto, è capace di arrivare dritto al cuore, e di entrarci. Perché, alla fin fine, buona di parte di noi è stato uno studente, per non parlare di chi è diventato insegnante. Ed è proprio per questo motivo che, indipendentemente dalle proprie esperienze personali, leggendo questo libro ognuno riuscirà a riscoprire quella parte di sè stesso che credeva dimenticata, e a vederla con occhi nuovi.
Fonti
Trama del libro, foto e biografia dell'autore: https://www.feltrinellieditore.it/opera/diario-di-scuola-1/
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